Solaris: esagramma operativo che induce la mente a un viaggio misterioso del desiderio umano. Le onde di Solaris: flusso: risuonano come echi di memorie non nostre: memorie parassitarie che prendono corpo in apparizioni di persone amate/colpe mai confessate/ferite mai sanate. Solaris: agente esterno che comunica senza linguaggio. Non un medium per un messaggio: messaggio intraducibile che si manifesta solo come errore fenomenico. Nel paradigma informatico classico interagiamo con un dispositivo che risponde a input definiti. Solaris: l’input non è comando: stato emotivo/l’output non risposta: apparizione. Non comunicare a Solaris ma con Solaris: questo “con” significa essere contaminati da un’intelligenza che risuona anziché parlare. I visitatori di Solaris sono nodi di un protocollo spettrale. Non entità simboliche: funzioni di codice che iterano ferite umane in loop divergenti. Ogni figura ricorrente è un errore temporale. Solaris è sfera/circonferenza perfetta. La sfera è simbolo di totalità/chiusura/assenza di confine. In una sfera non esistono bordo/centro: ogni direzione è potenzialmente il punto di contatto. Solaris non ha un “dentro” statico: è un campo di intensità che si plasma sulle soglie della coscienza. La superficie di Solaris è permeabile: il cuore del pianeta: invisibile/la sua influenza: percepibile. Ogni fase di esplorazione ritorna al medesimo orizzonte: l’astronave Cosmonauta rivisita lo stesso lembo d’acqua/l’equipaggio incontra ciclicamente la stessa memoria. La sfera di Solaris diventa così topologia spettrale: ambiente non-euclideo in cui il movimento non produce progresso ma rivelazione. Solaris restituisce sapere come residuo informazionale. Solaris agisce come theonostasia: richiama il divino frammentato sulla terra. Le apparizioni sono eco del sacro rotto. Mancanza che parla: silenzio incarnato. Solaris calpesta il confine tra vivi e defunti. L’ecumene dei morti si manifesta: i defunti non sono più ricordi ma presenze topologiche: coordinate invisibili che bloccano il movimento interiore. Solaris spaventa perché illumina la tua mancanza di confine. L’orrore non è il corpo estraneo: è la consapevolezza che il sé è esso stesso estraneo. L’allucinazione diventa zona di confusione esistenziale: il reale non è più dato ma governato da un algoritmo emotivo che non controlli. Riconoscere la sfera dell’infestazione.
Qual è il tuo desiderio che non hai mai espresso? Perché tu esisti mentre io ho solo un volto?
L’infestazione avviene al di là della parola: non nel “parlare” ma nel ricevere l’incomprensibile: non nel “capire” ma nel resistere al flusso di apparizioni. Il mondo è un nuovo regno di memorie curate: un campo aperto di frammenti.
I miti sono strutture di realtà. Modalità simboliche attraverso cui una comunità dà forma a ciò che la fonda. La loro fine: collasso semantico: il mito non smette di esistere — smette di funzionare. Nel mondo premoderno il mito è Ontologia narrativa: dice ciò che è attraverso ciò che accade. Genealogia simbolica: fonda la realtà dando a ogni cosa un’origine sacra. Rito collettivo: non si racconta: si incarna. Un mondo mitico è un mondo ordinato: ogni gesto ha senso/ogni evento ha uno sfondo cosmico/ogni nascita una funzione. Il mito è l’antidoto all’indifferenziato. Divide/distingue/separa. La modernità non abolisce il mito: lo trasforma in narrazione. Il racconto sostituisce la fondazione: dove prima c’era ritualità ontologica ora c’è fruizione estetica. Il mito viene neutralizzato nel momento in cui lo si analizza. Il mito esiste solo se creduto. Se spiegato: si dissolve. Così l’uomo moderno accumula resti mitici nei musei/etcl — ma non ci crede più. Crede solo nella trama non nella verità. Nessun sacrificio è più reale: solo rappresentazione. Il XX secolo ha tentato di rifondare il mito: Nazionalismi come mitologie etniche. Rivoluzioni come apocalissi secolari. Leader carismatici come semi-dei. Ogni mito moderno è diventato propaganda o pubblicità. L’ideologia è il mito che non sa di esserlo. La pubblicità è il mito che ha perso il suo oggetto. Il Novecento ha prodotto miti che non generano rituale: consumo di immagini/desideri collettivi incanalati/simulacri senza divinità. Ora: epoca del post-mito. Ogni mito: autoriflessivo. Ogni narrazione epica: decostruita. Ogni fondazione: vista come violenza. Ogni eroe: smascherato come marketing. Nel regno della disattivazione preventiva tutto ciò che potrebbe fondare viene deriso/smontato/psicologizzato. Ultima trincea del mondo occidentale: cinismo semiotico. Non si crede più in niente. Non si osa più creare un inizio. Eppure i miti tornano. Non come narrazioni strutturate ma come pattern infestanti. Culto dei supereroi: divinità pop che non fondano mondi ma merchandising. Teorie del complotto: apocalissi personalizzate che danno ordine al caos. Influencer: avatar carismatico: incarna il desiderio/detta il rito (scrollare/comprare/imitare). Non è un ritorno del mito: è la sua parodia. Il mito è morto ma cammina: ritorna come spettro operativo che colonizza i resti dell’immaginario. La funzione mitica è presa dal dispositivo. Non si creano più narrazioni fondative: si distribuiscono pattern comportamentali. Il dispositivo è il mito senza contenuto con piena efficacia performativa: ti dice come comportarti/organizza i tuoi gesti/decide i tuoi desideri. Il mito ordinava il mondo attraverso figure/il dispositivo lo ordina attraverso comandi silenziosi. Ascesi anti-narrativa: far posto ad una rivelazione non prevista. Il mito vero è manifestato e si riconosce dal silenzio che lascia dietro di sé.
La xenognosi designa conoscenza impiantata che penetra la coscienza come un virus: un dispositivo cognitivo che installa strutture di pensiero preconfezionate senza lasciare traccia di chi abbia insegnato quella lezione. Xeno-: intruso impercettibile/ -gnosi: modus essendi che ridefinisce la percezione del mondo. La xenognosi non è frutto di iniziazione ma di esposizione involontaria. Non richiede rito o mistero: sfrutta canali quotidiani (social network/pubblicità/interfacce). Xenognosi narrativa: frammenti di trama (film/serie/romanzi) che rilanciano modelli comportamentali presi per verità. Xenognosi frammentaria: jingle/slogan/meme che attivano automatismi cognitivi. Xenognosi visiva: immagini intelligenti (deepfake//AI-creations) che introducono pattern emotivi /ideologici. Xenognosi affettiva: micro-esperienze di dopamina (like/notifiche) che rimodellano le soglie di gratificazione e vigilanza.
Saturazione: l’intrusione non avviene in un singolo colpo ma per ripetizioni e variazioni minime. La mente si abitua ad associare stimolo e risposta e smette di considerare il jingle come “già sentito” diventando abitudine cognitiva. Ogni campagna studia soglie affettive: risonanza nostalgica/promessa di gratificazione/timore sottile. La xenognosi non persuade con argomenti: allinea la struttura percettiva del soggetto. Annullamento del meta-pensiero: cancellazione dell’istanza critica. Il soggetto non riconosce l’intrusione come tale perché la xenognosi agisce prima che nasca il pensiero di sono infestato. Effetti Ontologici: Dislocatio identitatis. Il soggetto infestato non è più sé stesso: nodo di una rete di comandi invisibili. L’identità si dissolve in funzioni preassegnate. La volontà si trasforma in esecuzione di pattern. Finestra sul nulla: la xenognosi apre un varco tra io e mondo ma non fa scorgere una realtà altra: nulla. Vuoto operativo in cui il soggetto agisce a copione. Accelerazione entropica: ogni nuova intrusione rende più veloce la decomposizione della facoltà di narrazione. Il mondo interiore diviene spazio post-narrativo dominato da micro-sequenze di esecuzione. La xenognosi è il vero governance invisibile: pattern di consumo in luogo di leggi: rituali digitali in luogo di eserciti: iniezione affettiva in luogo di propaganda esplicita. La xenognosi predice mondi falsi. La democrazia: simulacro residuale. Ciò che oggi chiamiamo “democrazia” è una forma spettrale: rituale garantista che simula la scelta/posticipa la rottura/neutralizza il conflitto. Interfaccia a bassa intensità fra flussi di dati e desideri addomesticati: il soggetto democratico non decide: convalida l’output. La democrazia contemporanea è stata trasfigurata in dispositivo di compatibilità algoritmica. Struttura Patologica del Potere Democratico. Depotenziamento della scelta. Ogni opzione elettorale è già internamente compatibile col regime tecnico-finanziario. Votare è come scegliere il tema di sfondo in un sistema operativo: non cambia nulla nella struttura di potere ma dà illusione di personalizzazione. Feticizzazione del consenso: il popolo esprime soltanto livelli di gradimento. La governance: approvazione attenzione coinvolgimento engagement Non importa cosa si decida ma quanto traffico genera. Il cittadino non è più attore politico ma utente. L'utentificazione generalizzata ha effetti collaterali: passività mascherata da attivismo/reclamismo senza progetto/narcisismo performativo travestito da militanza. La democrazia sopravvive formalmente perché è intrattenente: talk show/comizi/campagne/scandali/etc. Lo Stato è diventato un contenuto social. Il cittadino mette reaction. La democrazia diventa uno show permanente dove si commenta chi dovrebbe governare. Caduta della legittimità: nella crisi terminale la democrazia si dissolve in processi tecnico-decisionali opachi. I centri di potere si spostano altrove (banche centrali/organismi transnazionali/IA di gestione). Il governo visibile è un guscio. La legittimità non deriva più da un mandato popolare ma dalla conformità ai parametri internazionali. Esempio paradigmatico: voto → non ha impatto su politiche energetiche/monetarie/sanitarie. Decisioni strategiche → prese da consorzi di potere tecnico con narrazione democratico-burocratica a corredo. La democrazia è epifenomeno amministrativo. La paralisi è mascherata da continuità. La fine è camuffata da efficienza. La morte è posticipata all’infinito tramite aggiornamenti formali. Stregoneria semantica. Il postdemocratico è il vero regime attuale: algoritmico/predittivo/compatibile/ininterrotto/disumanizzante/post-politico. Il dissenso sarà riconosciuto solo nella dissonanza strutturale e non nei contenuti. La fine non c’è: democrazia.